In Basilicata sono 42 i vitigni sconosciuti e mai classificati identificati dalla complessa ricerca fatta dal CRA. La ricerca che ha coperto praticamente tutta la regione , concentrandosi soprattutto nella Val D’Agri e estendendosi anche al comprensorio del Pollino e del Materano per poi spingersi sino al Vulture, ha indagato su oltre 480 vitigni.
L’indagine si è avvalsa delle tecniche più moderne e sofisticate: dalle analisi ampelografiche ed agronomiche a quelle genetico molecolari, chimiche ed enologiche, oltre ad un interessantissimo lavoro di ricerca archeologica. Un’indagine certosina, che dopo aver “scremato” il tutto da omonimi e sinonimi si è concentrata su quelle varietà che risultavano realmente sconosciute.
Il lavoro concretizzatosi nel libro “Il progetto Basivin Sud”, presentato a Viggiano nella Val D’Agri, non ha solo indicato, recuperato e messo a dimora in un campo sperimentale le varietà più interessanti: per alcune sono state fatte prove di micro vinificazioni con risultati molto promettenti. ingrandisci 20150925_122708.jpgLo studio ha dato anche l’opportunità di ridisegnare la mappa europea di alcuni vitigni. Infatti la ricerca fatta da Stefano Del Lungo, ricercatore archeologo, rimette in discussione alcune ricostruzioni storiche, come quella del Pinot che lo si vuole di origine francese.
Molte delle pagine della ricerca sono dedicate alle origini di altri vitigni “internazionali”, ridisegnandone con dovizia di particolari i percorsi di propagazione avvenuti nel corso dei secoli. Stando a questo studio , ad esempio il Pinot, sarebbe stato portato alle bocche del Rodano dai Focei, attraverso le loro rotte commerciali che partivano dal Tirreno centro-meridionale. Anche il Syrah, la cui origine si fa risalire com’è noto, ad un incrocio tra Durezza (incrocio di Pinot con varietà non definita) con Mondeuse Blanche, sarebbe stato “esportato” dalla Siritide, zona d’influenza della città di Siris e poi di Sibari, verso la foce del Rodano. Affermazioni e supposizioni affascinanti che se fossero ulteriormente confermate cambierebbero un po’ la storia di questi vini.
Tornando invece ai vitigni selezionati, c’è da chiedersi se ci sarà spazio per la loro produzione e soprattutto se saranno poi effettivamente commercializzati, magari aprendo nuove prospettive economiche. Forse la strada della commercializzazione non sarà per tutti, ma sicuramente per alcuni vitigni bianchi come il Jusana o Giosanna, il Santa Sofia, l’Aglianico bianco e per i rossi Mangiaguerra, Castiglione o Arvino, l’Aglianico precoce, si potranno aprire scenari interessanti.
Ora la palla, per così dire passa, agli altri. In primis alle istituzioni regionali che dopo l’iscrizione nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite, dovranno ampliare la base ampelografica regionale inserendole tra le varietà idonee alla produzione di uva da vino. Una volta che questo iter sarà compiuto, si apriranno nuove opportunità per i viticoltori che potranno, se ne avranno voglia e coraggio, impiantare alcune di queste varietà. Una grande chance soprattutto per quelle zone che, non potendo contare sull’Aglianico come nel Vulture, hanno giocato sempre in un campionato di serie B.